Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia
Mare rosso sangue a Vergarolla
Nella storiografia del Novecento non si contano i morti “cancellati” per calcoli internazionali. Alcuni sostengono si tratti di inevitabili “corsi e ricorsi della storia”, che non ci toccano da vicino. Ma non è così, perché tutto questo – e molto altro – hanno vissuto i nostri connazionali del confine orientale d’Italia, prima e dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Istria, Fiume e Dalmazia: nomi che forse non dicono molto alle giovani generazioni ma che, fino a pochi decenni fa, sono state regioni italiane a tutti gli effetti. Grazie all’istituzione della “Legge del Ricordo”, nel 2004, si è in parte fatta luce su questa storia e, soprattutto, sono stati riconosciuti dalle Istituzioni gli eccidi delle foibe ed il conseguente esodo di circa 350mila italiani. Ma oltre sessant’anni di silenzio sono difficili da colmare e le drammatiche “storie nella storia” – completamente dimenticate – sono numerose. Una in particolare: della più grande strage di connazionali in tempo di pace della storia della Repubblica italiana, infatti, finora se ne è parlato pochissimo e soltanto in specifici ambienti culturali. L’innegabile e recente merito di averlo portato alla ribalta nazionale è di Simone Cristicchi e Jan Bernas, attraverso un toccante brano dello spettacolo “Magazzino 18” e di Alessandro Quadretti, con il suo docu-film.
La storia
Domenica 18 agosto 1946. La guerra è finita da pochissimo e l’Istria è occupata dai partigiani comunisti del maresciallo Tito. Da anni è in atto la stagione del terrore e della pulizia etnica ai danni degli italiani. Il “lungo esodo” è già iniziato. Ma non da Pola che, ancora, è amministrata dalle truppe britanniche. La morte – con le sue conseguenze di terrore e fuga – in questa città viene portata a Vergarolla, una famosa spiaggia gremita di partecipanti in occasione delle locali gare di nuoto. Inizia tutto con un grande boato: scoppiano alcune mine antinave incustodite. Vengono letteralmente polverizzate intere famiglie, il mare si tinge di rosso al punto che per molto tempo nessuno mangerà più pesce: più di un centinaio i morti, di cui solo 64 identificati. Altrettanti i feriti. Non mancano gli atti di eroismo: il dottor Micheletti perde i due figli, ma continua a prestare soccorso per oltre 48 ore. Sarà poi esule, per non trovarsi un giorno a “curare gli assassini della sua prole”.
Le ragioni dell’attentato
Raccontata così, potrebbe sembrare una “semplice” sciagura. La guerra è cessata da oltre sedici mesi e le mine potrebbero essere esplose per caso. Ma non è la sorte a decidere in questa circostanza. Documentazioni e prove inconfutabili dimostrano che si è trattato, infatti, di un’azione delle squadre di sabotatori dell’Ozna, la polizia segreta di Tito. L’intera Pola ha sentimenti italiani, infatti, e la cittadinanza aspira a restare legata alla Madrepatria. Tutti confidano sulle dichiarazioni di principio degli americani, secondo le quali ogni popolo dovrebbe avere “il diritto di poter decidere in piena autonomia del proprio destino”. La riunione di tanta gente sulla spiaggia, al momento della deflagrazione, non è dovuta solo alla gara tenuta della Società “Nautica Pietas Julia”, ma è l’occasione per l’ennesima manifestazione di italianità. La stessa “Arena di Pola”, il quotidiano cittadino, reclamizza l’evento come filo-italiano.
Le indagini mancate e i documenti ritrovati
All’epoca, sul reale movente e sugli esecutori del vile attentato terroristico si indagò poco e male. Nessuno, forse, aveva la reale intenzione di individuarne con chiarezza le dinamiche. Ci sono volute decine di anni perché dagli archivi inglesi uscisse una documentazione capace, da sola, di fare piena luce. Il comando inglese diede mandato ad una Commissione d’inchiesta di individuare le responsabilità della strage. Quest’ultima giunse a concludere che le mine erano in stato di sicurezza, poiché disattivate e che alcuni testimoni, fra i quali anche un inglese, asserivano che poco prima dell’esplosione avevano udito un piccolo scoppio e visto un fumo blu correre verso le mine. Pertanto, nella relazione finale fu espresso il parere che “gli ordigni sono stati deliberatamente fatti esplodere da persona o persone sconosciute”. Esistono carte, poi, tratte dal “Public Record Office” di Londra tali da togliere ogni dubbio su quei fatti. Della documentazione fa parte una dettagliata informativa, datata 19 dicembre 1946, in cui si imputa chiaramente all’Ozna la paternità della strage. Per non parlare, poi, delle decine di testimoni oculari. Il messaggio per gli italiani di Pola doveva essere chiaro e forte: restare e accettare il regime comunista, oppure lasciare da esuli l’Istria. E ottennero il risultato voluto. Ne consegue, infatti, il tristemente celebre esodo dalla città, culminato nel febbraio del 1947 con i viaggi del piroscafo “Toscana”.
Soltanto il 18 agosto 2011 è stata posta una stele con i nomi e l’età di quegli innocenti che ancora gridano una giustizia a loro negata. Oggi è un nostro dovere ricordare. E bisogna farlo non solo per la dignità delle vittime, ma per costruire un futuro migliore, impossibile senza la piena consapevolezza del nostro passato.
Carla Isabella Elena Cace