La cittadina istroveneta fu uno dei fulcri dell’italianità adriatica
Nei primi anni del Novecento un fermento culturale patriottico aveva reso Capodistria il punto di riferimento dell’irredentismo istriano, come ebbe modo di riconoscere perfino Gabriele d’Annunzio: “I nomi hanno i loro fati. La città natale dell’eroe marino [Nazario Sauro, ndr] chiamarono gli antichi nostri «Egida»: Pro ducibus nostris aegida semper habe”.
Il percorso patriottico nella cittadina istroveneta parte dalle riflessioni e dagli insegnamenti di Gian Rinaldo Carli (1720-1795) e Carlo Combi (1827-1884). L’erudito illuminista dimostra l’appartenenza in tempi non sospetti dell’area istriana al panorama culturale italiano, del quale è severo fustigatore nell’attualità (il saggio La patria degli italiani sulle pagine della rivista illuminista milanese Il caffè) e apprezzato analista del glorioso passato (Delle antichità italiche in cinque volumi, nei quali inserisce Istria e Dalmazia nella monumentale rassegna storica che parte dagli etruschi). L’italianità istriana viene compiutamente presentata da Combi, il quale fu costretto ad abbandonare la terra natale proprio per le sue idee patriottiche e per l’appartenenza al Comitato nazionale segreto per Trieste e l’Istria, in contatto con circoli patriottici torinesi e milanesi; promotore in Italia del Comitato Triestino-Istriano e dell’Appello degli Istriani all’Italia, scrisse articoli e pronunciò discorsi in cui ribadì le sue idee irredentiste a proposito delle sorti di quella che definì “la porta orientale d’Italia”.
L’adesione di patrioti capodistriani alla difesa della Repubblica di San Marco nel 1848-’49, l’atteggiamento dei rappresentanti alla Dieta del Nessuno nel 1861 (la dieta provinciale istriana votò “nessuno” come suo rappresentante al parlamento viennese, guardando con maggiore interesse al neonato Regno d’Italia), i contatti con la rete cospirazionista di cui faceva parte Guglielmo Oberdan e l’associazionismo patriottico di fine Ottocento/inizio Novecento costituiscono il retroterra culturale che alimentò le scelte più radicali allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Il Fascio Giovanile Istriano, fondato nel 1911 su postulati ideologici mazziniani, rappresenta il culmine di una maturazione patriottica e l’incubatrice in cui si perfezionano le idee ed i propositi di una generazione che vivrà in prima persona la vicenda della Grande Guerra. Epicentro di questo movimento fu per l’appunto Capodistria, ove operavano Pio Riego Gambini e Piero Almerigogna ed il cui teatro Ristori fu più volte luogo di riunioni e di conferenze pubbliche. Apparteneva a questa cerchia pure Tino Gavardo, morto poco dopo la fondazione del FGI, che espresse con la sua opera poetica l’italianità ed il profondo legame con Venezia. Nella primavera 1913 Almerigogna e Gambini effettuarono un viaggio in Italia, al fine di perorare la propria causa presso rappresentanti parlamentari (Rossi e Barzilai), esponenti dell’irredentismo a Roma e contatti nell’ambiente militare. In quest’ultimo caso si trattava di Ugo Pizzarello, nato a Macerata, ma figlio di Nicolina Gambini, zia di Pio Riego: grazie a questa parentela, l’ufficiale degli Alpini avrebbe coltivato un grande fervore irredentista e, da quel poco che si sa in merito all’abboccamento di cui sopra, sembrava pronto a contribuire ad una mobilitazione interventista qualora si presentassero le circostanze.
Nell’ambito militare operò pure il generale Vittorio Italico Zupelli, nato a Capodistria ma protagonista di una brillante carriera nell’esercito sabaudo che lo portò a diventare Ministro della Guerra e quindi Senatore proprio nell’autunno 1914. Le sue grandi capacità di organizzatore, i dissidi con Cadorna e l’efficace coordinamento della smobilitazione al termine del conflitto sono aspetti noti, ma non ancora approfonditi. Analogamente l’operato di Felice Bennati, nato a Pirano ma attivo politicamente a Capodistria (consigliere comunale, rappresentante alla Dieta provinciale dell’Istria e parlamentare a Vienna) prima di esfiltrare in Italia a inizio 1915 adoperandosi in seguito nell’ambito dell’assistenza ai fuoriusciti dalle terre irredente, venendo a guerra finita nominato Senatore del Regno.
Sempre nella città lagunare Ernesto Giovannini si adoperò, invece, ai vertici del nascente Servizio informazioni della Regia marina, avvalendosi soprattutto della collaborazione di compatrioti istriani e triestini che conoscevano bene la costa adriatica orientale e tenevano sotto controllo i movimenti della flotta nemica. Fra costoro spicca indubbiamente la figura di Nazario Sauro, esponente di un mazzinianesimo schietto e genuino, che nell’anteguerra gli aveva fatto abbracciare la causa dell’indipendenza dell’Albania, all’epoca ancora sottoposta al giogo ottomano, nonché affidabile pilota di spedizioni e incursioni in Istria e Dalmazia, sino alla fatale notte fra il 30 e il 31 luglio 1916. In quell’occasione il sommergibile sul quale era imbarcato, il Giacinto Pullino, rimase incastrato allo scoglio della Galiola, all’ingresso del Carnaro: la successiva cattura da parte delle autorità asburgiche condusse al processo in cui venne riconosciuto e quindi impiccato in guisa di traditore il successivo 10 agosto a Pola. Sauro si affiancò così a Pio Riego Gambini, caduto all’assalto del monte Podgora il 19 luglio 1915, nell’empireo dei martiri irredentisti di Capodistria.
Combattenti volontari furono fra gli altri Piero e Paolo Almerigogna, nonché Francesco de Almerigotti, mentre Piero de Manzini, già organizzatore dei pellegrinaggi patriottici alla tomba di Dante a Ravenna, non riuscì a scampare all’arruolamento nell’imperial-regio esercito, sicché disertò sul fronte dei Carpazi e giunse in Italia come ufficiale d’artiglieria solamente dopo aver fatto parte della Legione italiana dell’Estremo Oriente.
Lorenzo Salimbeni