Nuove pubblicazioni descrivono i luoghi in cui vennero concentrati i nostri connazionali provenienti dall’Adriatico orientale
Stazione terminale della via crucis dell’esodo del 90% della comunità italiana radicata da secoli sulle coste dell’Adriatico orientale, i 109 Centri Raccolta Profughi sparpagliati nel territorio italiano, isole comprese, hanno rappresentato anche per anni e lustri la squallida accoglienza per migliaia di istriani, fiumani e dalmati nell’immediato dopoguerra.
Vecchie caserme, ex campi di prigionia del periodo bellico e scuole furono adattati ad accogliere in assoluta promiscuità ed in condizioni igienico-sanitarie oltremodo precarie centinaia di nuclei famigliari, che restavano a lungo separati dai parenti, dalle amicizie della località d’origine e spesso accolti con diffidenza dalla popolazione del luogo che li ospitava. Non si trattava solamente della propaganda comunista che dipingeva la comunità dell’esodo, rappresentativa di tutte le divisioni politiche e sociali dell’italianità adriatica, alla stregua di un’accozzaglia di fascisti in fuga dal paradiso socialista che Tito andava edificando nella rinata Jugoslavia e nelle terre che erano state italiane. C’era anche una pregiudiziale dovuta al fatto che i nuovi arrivati ricevevano da parte degli enti pubblici risorse che per il resto della popolazione civile scarseggiavano e poco si sapeva delle sofferenze, dei lutti e delle privazioni che questi nuovi arrivati avevano sopportato.
Ognuno di questi Centri di Raccolta Profughi rappresenta una storia a sé stante, fatta di sacrifici, sforzi per ricostruirsi un’esistenza, nuove tragedie e speranze deluse al punto da intraprendere la via di un esilio addirittura oltre oceano. Risulta quindi meritorio che sempre più giornalisti e ricercatori storici attivi sul territorio inizino ad indagare e ad analizzare queste vicende, contestualizzandole non solo come pagine di una storia locale che va riscoperta, ma anche come tasselli di una più complessa vicenda di sradicamento, allontanamento e reinserimento.
Segnaliamo innanzitutto che è in uscita la nuova edizione, ampliata ed arricchita di nuovi spunti, di “Popolo in fuga. Sicilia terra d’accoglienza” di Fabio Lo Bono, operatore culturale siciliano che ha portato alla luce la storia del campo profughi di Termini Imerese attraverso decine di presentazioni della sua opera presso scuole ed amministrazioni comunali, così come pure presso le comunità italiane in Istria e Carnaro. Tra le note di pregio di questa pubblicazione autoprodotta, rientrano le interviste fatte ad alcuni di coloro i quali vissero l’esperienza di questo campo profughi, da cui si può evincere ad esempio il brusco impatto fra le abitudini emancipate delle ragazze fiumane e l’austero contesto sociale siciliano dell’epoca. Impreziosito da una copertina firmata da Alfio Krancic, vignettista di origine fiumana che da giovane visse l’esperienza dell’esodo, questo lavoro è un punto di riferimento per quanti vogliano andare ad esplorare le vicende di questi siti vagliando fonti archivistiche, orali e giornalistiche dell’epoca.
È quanto ha fatto ad esempio il giornalista massese Matteo Marchini, il quale ha dedicato la sua Tesi di Laurea proprio a “I profughi giuliano-dalmati nella provincia di Massa-Carrara”. Presentata l’anno scorso durante un evento collegato al Giorno del Ricordo da parte del locale comitato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, tale ricerca illustra quella che fu la dura vita degli ospiti dei CRP allestiti a Marina di Massa e a Marina di Carrara.
È invece giunto al suo terzo lavoro dedicato a questi argomenti il professor Elio Varutti, il quale, dopo “Il Campo Profughi di via Pradamano a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo. 1945-2007” (ANVGD Udine, 2007) e “Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di smistamento profughi di Udine 1943-1960” (Stringher, Udine 2015), ha recentemente dato alle stampe “Italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi giuliano dalmati a Udine e dintorni” (Provincia di Udine, 2018). 200 fotografie e 330 testimonianze contribuiscono a definire un percorso che inizia con coloro i quali abbandonarono la Dalmazia annessa al Regno di Jugoslavia già negli anni Venti, per giungere a quanti transitarono per la struttura friulana prima di venire smistati ad altra destinazione, passando per i villaggi giuliani che accolsero definitivamente le famiglie dei profughi.
Verrà, infine, presentato la mattina di sabato 17 marzo a Carpi in provincia di Modena “I 60 anni del Villaggio San Marco a Fossoli. Raccolta degli atti del Convegno Nazionale di Studi sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica”: “Il campo di Fossoli – spiega il generale Giampaolo Pani, presidente del Comitato provinciale di Modena dell’ANVGD – è noto come struttura di prigionia fascista durante la Seconda guerra mondiale: è nostra intenzione ricordare ufficialmente che in seguito fu adibito a centro profughi, che accolse centinaia di nostri connazionali in fuga dal regime di Tito”.
Lorenzo Salimbeni