Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia
Nel volume di Ranieri Ponis, si ripercorre l’eroica vita di Nazario Sauro
Lo scorso 10 agosto ricorrevano i cent’anni dall’impiccagione di Nazario Sauro, catturato durante una sfortunata incursione del sommergibile Pullino nel Carnaro a fine luglio 1916, sbrigativamente processato da un tribunale militare austro-ungarico a Pola ed impiccato in quanto traditore, dato che era nato il 20 settembre 1880 (dieci anni dopo la breccia di Porta Pia) a Capodistria, località ancora sottoposta al dominio degli Asburgo al termine delle Guerre d’indipendenza e quindi focolaio di italianità nelle terre non ancora redente dalla dominazione straniera.
Affine a Guglielmo Oberdan nella morte, Sauro lo era stato anche nella scelta di non servire nelle imperial-regie forze armate: il patriota triestino, infatti, dopo che le truppe di Francesco Giuseppe mossero sulla Bosnia-Erzegovina per por fine alle ribellioni serbe contro il dominio ottomano (di lì a poco il Congresso di Berlino consegnò la turbolenta regione al protettorato trentennale di Vienna) disertò, Nazario nell’estate 1914 abbandonò, assieme ad altri giovani irredentisti, le terre del Litorale Austriaco onde scongiurare l’arruolamento nell’esercito che aveva mosso guerra alla Serbia, scatenando la Prima guerra mondiale.
Al di fuori delle iniziative promosse dall’associazionismo della diaspora giuliano-dalmata (la bara di Sauro abbandonò Pola durante l’esodo del 1947 ed ora è tumulata al Sacrario del Lido di Venezia), poco è stato fatto per commemorare una Medaglia d’Oro al Valor Militare cui sono state intitolate vie, scuole e caserme in tutta Italia: è pertanto meritevole di segnalazione la proposta di Luglio Editore (piccola casa editrice triestina specializzata in storia della Venezia Giulia www.luglioeditore.it), che ha ridato alle stampe il volumetto del giornalista esule capodistriano Ranieri Ponis “Nazario Sauro, il Garibaldi dell’Istria” (2016, pagg.142) arricchendone l’apparato iconografico.
Pubblicato originariamente in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte di Sauro, il saggio affronta vari aspetti dell’avventurosa esistenza di Nazario, dalle umili origini alle peripezie nel corso della Grande guerra nel mare Adriatico passando per la maturazione del suo ideale patriottico. Si trattava di un ideale impregnato dell’insegnamento di Giuseppe Mazzini, sia per la sensibilità sociale (nel gennaio 1915 Sauro si distinse nella spedizione di esfiltrati giuliani che portò aiuto ai terremotati della Marsica), sia per la scelta di lottare per la libertà di tutti i popoli oppressi (nell’anteguerra aveva fiancheggiato le rivolte albanesi contro la dominazione ottomana), sia negli intendimenti insurrezionali (mentre l’Italia era ancora neutrale, insistette con i comandi della Marina per compiere “uno sbarco alla Pisacane” in Istria da cui originare il casus belli).
Sauro fu tuttavia uomo d’azione e “garibaldino” già quando nei primi anni del Novecento esercitava la professione marittima, studiando altresì le coste istriane e dalmate, le correnti e le maree, gli apprestamenti difensivi e gli spostamenti della K.u.K. Kriegsmarine, pianificando di mettere tali competenze a disposizione dei comandi della flotta da guerra italiana durante l’auspicato conflitto che avrebbe completato l’Unità d’Italia con il Trentino, la Venezia Giulia e la Dalmazia. Una volta entrata in guerra l’Italia, Nazario affidò ad un amico giornalista veneziano due lettere da consegnare alla moglie ed ai figli rispettivamente in caso di morte in battaglia: al culmine delle radiose giornate di maggio, vergò quel meraviglioso giuramento di amor di Patria e di fiera italianità indirizzato al primogenito.
Nel corso di un’abbondante sessantina di missioni, Sauro condusse sommergibili e naviglio leggero a violare porti e porticcioli nemici, sino alla fatale spedizione del Pullino, che rimase incagliato allo scoglio della Galiola: fatto prigioniero, dichiarò di chiamarsi Nicolò Sambo, ma fu ben presto identificato, anche causa la testimonianza del cognato lealista. Perfino la madre fu chiamata in tribunale per confermare che il prigioniero era proprio suo figlio: entrambi negarono di conoscersi, ma da Vienna era già partito il boia che poche settimane prima aveva impiccato a Trento Cesare Battisti e Fabio Filzi. L’episodio del tremendo confronto sarebbe stato poi immortalato nelle statue che decoravano il monumento a Sauro eretto a Capodistria nel 1935 e abbattuto a due riprese: dapprima per mano tedesca nel 1944, poiché costituiva un riferimento per l’aviazione nemica, e infine dai partigiani di Tito che si impadronirono della città alla fine della Seconda guerra mondiale.
Lorenzo Salimbeni