Annamaria Muiesan, piranese, ne ” Il mio tailleur rosso dai bottoni di bambù ” si pone delle domande su che cos’è la memoria. ” Uno strumento per trarre insegnamento dalle esperienze
vissute o per far sorgere in noi, ansie, tormenti, rimpianti ?”
Le esperienze vissute.Parlando, confrontandomi con parenti, amici, conoscenti, con gli Esuli, non c’è mai stato qualcuno che si sia detto pentito della scelta fatta. Mai pentiti di aver voluto continuare ad appartenere a quella Patria in cui eravamo nati, mai pentiti di aver preso, con angoscia, la terribile decisione dell’abbandono.
Per me che cos’è la memoria ? Come la vivo ? E’ certamente ansia: Quell’affanno che mi prende al pensiero di quanto poco si sa di noi, di quanto poco, ancora oggi, in certi ambienti, si vuol sapere o che di noi si sappia. Un’esponente di un’associazione che, sicuramente, non si appassiona alla nostra Storia, al mio invito a partecipare alla celebrazione del prossimo Giorno del Ricordo, dapprima quasi scombussolata dall’invito, incredula, non sapendo bene che cosa rispondermi “Purchè non si parli in un certo modo, com’è spesso accaduto…” Al che ho risposto che, per conoscere bene la nostra Storia, bisogna andare molto indietro nel tempo. Mi ha replicato che non se ne deve parlare a pezzi.
Noi non ne parliamo mai a pezzi, soprattutto non partiamo mai dall’ultimo pezzo. Probabilmente, per alcuni, raccontare la verità storica, delle nostre origini, della nostra latinità,
dell’essere stati orgogliosamente Veneziani, non felicemente asburgici, ostinatamente Italiani, ostinatamente Irredentisti, non ha alcuna importanza. Soprattutto l’ essere stati non felicemente
asburgici, ma ostinatanente Irredentisti, ostinatamente Italiani è fuori luogo, risorgimentale, quasi inutile, antimoderno.
Per costoro si deve partire da tempi molto più recenti, dalla fine del primo conflitto mondiale al 1945, e la nostra Storia comincia e finisce là. La Storia non può e non deve essere moderna, non deve essere adattata, deve solo essere onesta ed imparziale. Imparzialità che, nei confronti di noi Esuli, non è certamente esistita, innanzittutto nei primi decenni dalla nostra venuta in Patria, nella nostra Patria, quella di tutti gli Italiani: siciliani, laziali, emiliani….e giuliani, fiumani e dalmati.
Ancora, per me che cos’è la memoria ?
E’ sicuramente tormento. Anche dopo più di settant’anni dalla fuga da Orsera. Molti, anche Istriani, si meravigliano della mia sofferenza. Spesso mi sono sentita dire ” Mi dispiace che tu l’abbia vissuta così male.” Le nostre vicende sono state drammatiche. Abbiamo vissuto una tragedia, siamo stati vittime di una pulizia etnica. I nostri nonni, tantissimi, sono morti di dolore, di crepacuore a causa dell’Esodo, dell’aver dovuto tutto abbandonare. I nostri genitori, allora giovani, hanno fatto una fatica immensa per darci una vita decente, per farci diventare quello che oggi siamo. Per questo, mio padre è morto.
Si può tentare di mettere da parte il dramma che ci è piombato addosso, ma non si può vivere, dopo le esperienze passate con viva là e po bon, come dice una nota canzone triestina viva la e po
bon….sempre alegri e mai pasion, viva là e po bon. Certo, molti di noi hanno, almeno in parte, assorbito quella pasion, abbiamo vissuto vite familiari felici, alcuni sono diventati persone importanti, in tutti i campi: Missoni, Benvenuti, Valiani, Bracco….., ma, anche questi non hanno mai allontanato la pasion, il dolore, la Storia.
Il tormento ti scoppia nel cuore al momento del ” Va Pensiero ” cantato nel Duomo di Pola alla fine della Messa per i partecipanti al raduno dei Polesani. In quel momento tutto ti viene alla mente. Siamo gente di mare, non è una valanga, è uno tsumani di ricordi che ti travolge. Le nonne, le torture subite da papà, la sua fuga, subito dopo, la mia fuga con la mamma, la tomba con i tuoi cari là abbandonati, i nostri morti ammazzati, infoibati, quella tua casa dove sei nata, dove, per pochissimi anni hai vissuto, dove i tuoi genitori si sono amati, dove hanno sofferto il terrore. A quel canto il dolore diventa tormento e piangi e singhiozzi. E’ questo il “Va pensiero ” tutta la nostra antica vita.
Ma, per me che cos’è la memoria?
Rimpianti ? Il dizionario enciclopedico italiano così definisce il rimpianto : “Ricordo nostalgico e dolente di persone o cose perdute, o di occasioni perdute.” Rimpiangere: “Rammentare piangendo”. Rimpianto, il mio; per che cosa ? Per quello provato dalle mie nonne: è diventato anche il mio. Il rimpianto della ” Fattora “, la mia nonna paterna. Piena di energia, di forza. Instancabile. Quell’instancabile forza l’ha abbandonata a Trieste, quando, non più parona ha volontariamente, abulicamente ceduto la responsabilità della mater familias alla nuora, mia madre e si è lasciata morire.
Nonna Checca la Notaia. Al contrario di nonna Anna, magrissima, fragile, sia fisicamente che spiritualmente. Aveva perso una figlia di diciannove anni in tre giorni, per una polmonite
fulminante.Non era mai riuscita a superare quello strazio. Lo diceva a tutti ” Me xe restada la fia bruta”, la mia mamma, che brutta non era, ma si è sempre portata dietro un forte complesso
d’inferiorità nei confronti di quella sorella bellissima, adorata. Zia Jolanda era di quella generazione di donne orsaresi una più bella dell’altra. La perdita della figlia aveva gettato la nonna in una
malinconia gentile, oggi si chiama depressione, che l’aveva seguita per tutta la vita. In paese era amatissima e stimata e considerata molto intelligente, tanto che molti compaesani si recavano da lei per farsi consigliare su come fare un testamento e farselo scrivere, con la sua calligrafia elegante ed ordinata.
La Fattora e la Notaia non hanno voluto, forse potuto aspettare di vedere il futuro. Troppa disperata nostalgia. Subito, dopo il 1947, un futuro durissimo, penoso per tutti noi, poi, come il tempo
scorreva, un futuro rassegnato, dolente, ma un po’ più sereno. Questo, il rimpianto delle nonne. Il mio, per il grande amore che mi hanno saputo donare, prezioso, quando i titini non mi permettevano di raggiungere i miei genitori a Trieste. E come lo capisco questo donare tanto amore, ora che il Signore ha concesso a Claudio e me la grande gioia di mandarci Luca, che oggi ha cinque anni. Quando me lo stringo a me, quando gli sussurro ” Ti voglio tanto bene” e mi risponde ” Anch’io, tanto bene alto fino al sole “, quando me lo mangio di baci, lo faccio anche per restituire alle nonne almeno un po’ di quel meraviglioso amore abbondante, pieno, ricco che mi hanno regalato.
Ancora l’immenso rimpianto per la vita che mamma e papà non hanno potuto passare assieme. Si erano amati teneramente, profondamente legati da comprensione e stima, esempio, per noi figli, di come deve essere la famiglia. Si conoscevano da sempre, sono stati sposati per poco più di vent’anni. Nei quindici anni passati a Trieste, Esuli, sono stati vicini due, tre giorni alla settimana ed in quei giorni gli occhi di mamma brillavano di felicità. Dopo la morte di papà, mia mamma non è stata più felice, i suoi occhi non hanno più brillato, non ha mai più cantato. Ancora quanto rimpianto per quel loro amore distrutto. Forse…….se avessimo potuto rimanere nei nostri paesi, se quella furia devastante non si fosse scatenata su di noi, se avessimo potuto restare nelle nostre case, forse papà non sarebbe morto a quarantanove anni, forse……avrebbero vissuto il loro amore fino alla vecchiaia, vicini, uniti come desideravano accadesse, quando, giovani e
innamorati, immaginavano il loro futuro.
Il rimpianto per quella semplice vita di allora che noi vogliamo ricordare solo bella, felice, appagante; per quei profumi che si spandevano nell’aria al fiorire delle ginestre; per quei colori, di primavera, tra mare, cielo, pini e ginestre. I colli che attorniano Orsera erano, sono coperti di giallo, intenso.
Il rimpianto di una vita mai vissuta, solo desiderata, fantasticata. ” Se avessimo potuto restare, se, se…..” Come ben sappiamo la realtà è stata ben diversa. Quei ” forse ” quei ” se ” non si sono
realizzati, sono parte, non piccola, non indifferente, di quella dannazione che è la memoria: il non voler e poter dimenticare.
Anna Maria Crasti