La Slovenia non riconosce la tragedia dei profughi giuliano-dalmati
Pubblicato su Il Giornale d’Italia
Nel 1996 la Slovenia introdusse la “Legge sulla riparazione dei torti”, cioè un provvedimento con cui la piccola Repubblica si assumeva l’onere di erogare dei risarcimenti pecuniari per coloro i quali (o per i loro eredi e discendenti) avessero subito violenze, deportazioni o fossero stati uccisi in territorio oggi sloveno tra il maggio 1945, durante il consolidarsi del regime di Tito, ed il luglio 1990.
Di questa provvidenza potevano beneficiare due tipologie di italiani: vale a dire quanti fossero stati residenti nelle porzioni delle province di Trieste, Gorizia e dell’Istria cedute alla Repubblica jugoslava con il Trattato di Pace firmato dall’Italia a Parigi il 10 febbraio 1947, ovvero quanti fossero stati deportati dai partigiani titini per venire reclusi, oltraggiati o perfino uccisi in località che oggi rientrano nei confini di Lubiana. Il piccolo Stato della ex Jugoslavia d’altro canto ha pure avviato un’audace politica di “pacificazione” al suo interno, rendendo omaggio ai luoghi di sepoltura ed alle fosse comuni in cui giacciono le spoglie di tanti anticomunisti e collaborazionisti massacrati con le proprie famiglie nelle operazioni di pulizia politica attuate dall’Ozna, la famigerata polizia segreta del Maresciallo, ovvero respinti dalle truppe britanniche di presidio in Austria nel maggio 1945 e consegnati alle stragi di massa da parte del vittorioso Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia.
Moltissimi, con il supporto delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, hanno raccolto la documentazione ed i certificati richiesti, che andavano quindi sottoposti a traduzione giurata e consegnati agli organi competenti della confinante repubblica. Una volta vagliate le domande, si procedeva a erogare i risarcimenti, simbolici e tutt’altro che esaurienti, ma più che il valore pecuniario era il significato di questo gesto a risultare gradito. Si riconoscevano, da parte di uno Stato successore della Jugoslavia forgiata da Tito, le violenze, le sopraffazioni , le stragi, in una parola i “torti” che il nascente regime aveva esercitato nei confronti della comunità italiana residente nelle zone mistilingui della Venezia Giulia.
Di fronte alle molteplici richieste di risarcimento, ciascuna delle quali accompagnata da una toccante memoria della vicenda occorsa all’epoca, c’è stato di recente un mezzo passo indietro da parte delle autorità slovene.
Rifacendosi, infatti, alla lettera dei trattati con cui l’Italia ridefinì il proprio confine orientale al termine della Seconda guerra mondiale, il Ministero della Giustizia sloveno ha sentenziato che il risarcimento non è più dovuto nei confronti di chi abbandonò la ex Jugoslavia utilizzando il permesso di uscita rilasciato dalle autorità titoiste. La situazione è a dir poco paradossale: gli italiani diventati sudditi jugoslavi ma che volevano esercitare la propria opzione per la cittadinanza italiana e abbandonare il clima persecutorio che proseguiva nei loro confronti dovettero faticare a lungo per ottenere il permesso di andarsene. Si trattava di un documento che in Italia sarebbe stato poi necessario per accedere ai servizi dell’assistenza profughi, ma oggi a Lubiana se ne dà una lettura diversa: si sarebbe trattato di una libera scelta di andarsene in esilio, con tanto di regolare permesso, in maniera tale che si decade dallo status di profugo, che è beneficiario della Legge dei Torti.
“Intere famiglie sono esodate in Italia – spiega Federica Cocolo, referente all’assistenza dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – con il permesso di via, cioè un documento dove vi erano anche trascritti tutti i beni che avevano chiesto e portato con sé: grazie a questo foglio i nostri connazionali potevano poi chiedere la carta d’identità ed i documenti necessari per lavorare e stabilizzarsi, mentre oggi per Lubiana si tratta di un’attestazione dello status di optante (come se tale opzione fosse stata esercitata liberamente e non per fuggire da un clima persecutorio nei confronti del gruppo nazionale di appartenenza) e non di profugo. Dunque – conclude Cocolo – molte istanze inviate dal 2015 al Ministero della Giustizia di Lubiana, non ancora evase, saranno respinte se i richiedenti risulteranno possessori del permesso d’uscita dai territori appartenenti all’ex Jugoslavia ora facenti parte della Repubblica slovena”.
Lorenzo Salimbeni