La caotica situazione dell’8 settembre ebbe conseguenze catastrofiche in Istria e Dalmazia
Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia
8 settembre 1943, la morte della Patria nella celeberrima definizione di Ernesto Galli della Loggia: il Re con i vertici dello Stato in fuga dopo che il capo del governo aveva comunicato via radio a civili, autorità e militari che l’armistizio era stato firmato. Dopodiché, il caos: divisioni che si sciolgono come neve al sole salvo rare eccezioni, la presa di controllo del territorio italiano da parte tedesca per frenare l’avanzata anglo-americana, il coagularsi nella Repubblica Sociale Italiana di forze legate a Mussolini liberato dalla prigionia sul Gran Sasso e desiderose di proseguire il conflitto a fianco dell’alleato germanico, i partigiani e la guerra civile. Da quel giorno l’Italia non sarebbe più stata la stessa.
In quella caotica situazione ci fu chi seppe approfittarne astutamente: l’esercito partigiano di Tito non solo si impadronì di armi, munizioni, vettovagliamento e artiglierie abbandonate dalle divisioni italiane di presidio nelle zone di occupazione della ex Jugoslavia, ma riuscì addirittura a impadronirsi di porzioni del territorio metropolitano, nell’entroterra triestino, nell’Istria interna e a Spalato. Ebbe così luogo la prima ondata di stragi nelle foibe, di fucilazioni arbitrarie di prigionieri (almeno un centinaio nella città di Diocleziano), deportazioni e distruzioni dei simboli della presenza statuale italiana. I partigiani sloveni e croati giunsero a dichiarare unilateralmente l’annessione dell’Istria alle future repubbliche federate nella Jugoslavia titoista, laddove reparti italiani che chiesero di combattere a fianco della resistenza jugoslava contro i tedeschi ed i loro collaborazionisti ricevettero un trattamento pessimo e furono sacrificati in numerose operazioni ad alto rischio (Divisione Garibaldi in Montenegro).
A Spalato giunsero ben presto i tedeschi a consegnare formalmente la città allo Stato Indipendente Croato, il quale vedeva così finalmente realizzato l’obiettivo di annettere la Dalmazia, in cui solamente a Zara, grazie all’opera del Prefetto Vincenzo Serrentino, riuscì a consolidarsi l’autorità della RSI. La città sarebbe poi stata devastata da pesanti bombardamenti angloamericani, richiesti da Tito che aveva convinto surrettiziamente i suoi alleati occidentali che il capoluogo dalmata costituiva un’importante base strategica.
La provincia che più di tutte pagò un tributo di sangue causa questo collasso militare, politico ed istituzionale fu l’Istria, con un migliaio circa di persone assassinate dai partigiani. Norma Cossetto risultò la vittima innocente che più di tutti sarebbe rimasta nell’immaginario collettivo, ma assieme a lei ed ai suoi famigliari (piccoli possidenti terrieri additati a nemici del popolo dai partigiani titini) furono sequestrati, torturati, sommariamente processati e scaraventati spesso ancora vivi negli abissi carsici noti come foibe funzionari comunali, insegnanti e funzionari pubblici che per il ruolo che svolgevano rappresentavano lo Stato italiano sul territorio.
Una prima interpretazione storiografica interpretò questa mattanza come una jacquerie, per affinità con le sollevazioni contadine spontanee che avvenivano nella Francia medioevale, laddove una più attenta e recente analisi ha dimostrato che si trattò di un’insurrezione ben pianificata dal punto di vista operativo e che dal punto di vista ideologico possedeva solide fondamenta. Il comunismo che Tito ostentava rappresentava una paravento dietro al quale si riproponeva il progetto espansionista sloveno e croato sorto nella fase terminale dell’Impero austro-ungarico, allorché la possibile svolta trialista avrebbe riconosciuto nella compagine asburgica una terza corona slava che avrebbe amministrato anche le terre con presenza italiana maggioritaria o comunque significativa (Venezia Giulia e Dalmazia). Quell’approccio ideologico (austroslavismo) sosteneva che la marea slava dominante nelle campagne e nell’entroterra avrebbe travolto i centri urbani che costituivano le roccaforti dell’italianità e dall’Isonzo alle Bocche di Cattaro si sarebbe costituita un’entità slava alternativa al regno serbo dei Karageorgević.
A ottobre l’intervento delle truppe tedesche della Zona di Operazioni Litorale Adriatico avrebbe posto fine al dominio partigiano nell’entroterra istriano, ma a guerra finita nuovi massacri, violenze, eccidi e deportazioni avrebbero caratterizzato il ritorno in auge dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia cagionando migliaia di morti e di scomparsi nel nulla.
Il 30 agosto scorso è stata celebrata la Giornata mondiale dei desaparecidos e, anche se tale termine si ricollega alle vittime della dittature sudamericane foraggiate dagli Stati Uniti in funzione anticomunista, il Comitato 10 Febbraio auspica che pure l’Italia in questa giornata vorrà ricordare i suoi “desaparecidos” del confine orientale: goriziani, triestini, istriani, fiumani e dalmati scomparsi nel nulla, uccisi senza sapere ancor oggi dove siano stati sepolti o infoibati o annegati dai loro carnefici.
Lorenzo Salimbeni