Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia
Chiesa, Battisti, Filzi, Sauro: il coraggio dell’amore di Patria, per cui vale la pena correre ogni rischio
Poi l’Italia entra in guerra. Ovviamente tutti loro partono volontari. Nel caso di cattura saranno impiccati come traditori. Partono lo stesso. Per fare l’Italia. Quasi nessuno dei ragazzi di quel gruppo vedrà la Vittoria.
Nel 1916, cento anni fa, viene fucilato Damiano Chiesa e poi il cappio dei condannati strappa alla vita, ma soprattutto all’Italia, Cesare Battisti, Fabio Filzi e Nazario Sauro, fatti prigionieri in combattimento dalle forze austro-ungariche. Chiesa era di Rovereto, Battisti di Trento, Filzi di Pisino, Sauro di Capodistria. Battisti e Filzi vengono impiccati il 12 luglio, Sauro il 10 agosto.
L’impiccagione di Battisti è fotografata e la crudeltà delle immagini, il martire impiega 8 minuti per morire, colpirà così tanto l’opinione pubblica mondiale che gli austriaci saranno costretti a ritirare le foto ormai, però, viste da tutti.
Prima di partire per la sua ultima missione Nazario Sauro racconta ad un amico avvocato: “Che bell’esempio il nostro Battisti. Dovremo essere in grado di soffrire fino alla fine – riferendosi al rifiuto di usare una dose di cianuro in caso di cattura – per colpire anche con la nostra morte l’Impero”. Uomini d’altra tempra si direbbe.
Il loro esempio, il loro martirio dà forza al nostro sforzo bellico e sul Piave, nell’offensiva che ci diede la Vittoria, “fu sacro il patto antico: tra le schiere furon visti Risorgere Oberdan, Sauro e Battisti”.
L’Italia entra in guerra il 24 maggio 1915. Nello stesso periodo cento anni dopo il parlamento vota una legge per equiparare i disertori ai soldati combattenti.
E se ogni nostra città ha vie e piazze per chi ha dato la vita per l’Italia, le targhe commemorative e i monumenti sono in gran parte ripuliti ed omaggiati solo da privati cittadini o dalle associazioni. Le istituzioni, troppo spesso, sono assenti o dimentiche.
Non ricordano.
Non ricordano le parole che furono testamento per i figli e monito per gli Italiani: su questa Patria, giura, o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli, quando avranno l’età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani.
Eppure a cent’anni dalla guerra che fece l’Italia centinaia di volontari sul posto e migliaia in tutta Italia concorrono per aiutare Amatrice schiacciata dal terremoto.
E torna alla mente D’Annunzio: “E venne un altro segno. Un’ira occulta percosse e ruinò una regione nobile tra le nobili. Quivi la virtù del dolore da tutte le contrade convocò i fratelli. Il lutto fu fermo come un patto. Lagni non s’udirono, lacrime non si videro. I superstiti, esciti dalle macerie, offerirono all’opera le braccia contuse. Nella polvere lugubre le volontà si moltiplicarono. L’azione fu unanime e pronta. Una spirituale città fraterna sembrò fondata nelle rovine, pel concorso di tutti i sangui; e, meglio che quella del giuro, poteva chiamarsi Italica. I fuorusciti di Trieste e dell’Istria, gli esuli dell’Adriatico e dell’Alpe di Trento, i più fieri allo sforzo e i più candidi, diedero alle capanne costrutte i nomi delle terre asservite, come ad augurare e ad annunziare il riscatto. Il fratello guardava il fratello, talvolta, per leggere nel fondo degli occhi la certa risposta alla muta domanda. Allora lo spirito di sacrifizio entrò nella nazione riscossa, precorse la primavera d’Italia”.
Buon 4 novembre della Vittoria.
Emanuele Merlino