Trascina

Forse l’unico abbraccio

  • Marzo 1, 2016

Forse l’unico abbraccio

A ricordo di nonna Anna “La Fatora”

Oggi è il 20 gennaio ed è l’anniversario della morte di nonna Anna. Anna Milos Crasti, nata a Monghebo, tra Parenzo ed Orsera, un piccolo delizioso borgo, sposata con nonno Bepi a Montona,arrivata, con la famiglia, ad Orsera subito dopo il primo conflitto mondiale.

E’ stata una donna forte, energica, qualcuno l’ha definita dura.

Una donna che, però, ha dato tutta se stessa alla famiglia, senza mai risparmiarsi. Ha lavorato tutta la vita indefessamente, pretendendo il massimo dalle sue forze fisiche e morali.

E’ stata una donna che non ha mai accettato intromissioni nel suo lavoro di “boteghera” -la mia famiglia aveva anche un negozio di alimentari ai Pianisei- e non accettava alcun tipo di collaborazione, neppure dai familiari.

Era lei la “padrona”, era lei la persona che, dopo la morte del nonno, ha risollevato le sorti economiche della famiglia. Ne era pienamente consapevole e ne era orgogliosa.

Come si sa, in Istria., in quegli anni, quando un figlio maschio si sposava, raramente usciva a vivere fuori casa con la nuova famiglia. Era la moglie che entrava fisicamente, non sempre affettivamente, nella casa del marito.

Così è capitato ai miei genitori. La mia mamma è andata a vivere nella casa di papà e, purtroppo, è stata accettata a fatica dalla suocera, è stata sempre considerata l’ultima arrivata e, quindi, non ha mai avuto alcun peso.

Gli anni di convivenza non sono stati troppo facili per la mia mamma che, per sua fortuna, era attorniata da parenti strettissimi, madre, fratello,che abitavano anche loro ai Pianisei, due case più in sù. E da tante persone amiche.

Probabimente l’arresto di papà da parte dei comunisti slavi ed i quaranta giorni di prigione a Parenzo hanno addolcito i rapporti tra le due donne.

Questa non facile convivenza è durata circa sette anni.

La guerra,l’otto settenbre 1943 con le sue tragiche conseguenze, soprattutto in Istria, la fine del conflitto che, nelle nostre terre, ha segnato l’inizio dell’eccidio piu grave perpetrato contro noi Italiani, hanno fatto sì che, tra le due donne, le cose andassero in altro modo. L’Esodo ha cambiato tutto.

Uscito di prigione, papà e zio Bepi fuggono a Trieste, corrompendo un “druse”.

Dopo alcuni mesi, di notte, in barca a remi, siamo fuggite la mamma ed io.

E, sicuramente, al momento dell’addio, mamma e nonna Anna si sono abbracciate, forse l’unico gesto affettuoso scambiato tra loro.

Quell’abbraccio è stato “un passaggio di consegne”, perchè entrambe si rendevano conto che tutto era destinato a cambiare.

Dopo un breve periodo in una stanza in affitto a Trieste-Via Gregorutti- ” camera con comodo di cucina “, i miei genitori cercano e trovano un appartamento da acquistare.

Non finisco mai di ringraziare Iddio perchè il mio papà ci ha potuto risparmiare il degrado, le umiliazioni, la promiscuità dei Campi di Raccolta Profughi.

Si può così pensare ad un ricongiungimento della famiglia che avviene nel 1949.

Quell’abbraccio significa che, una volta a Trieste, avranno tutti una casa, stretti, ma tutti insieme, ma con le parti invertite.

La padrona di casa non è più la nonna, ma la mia mamma

Mamma, alla fine, fuggendo, sola con me, affrontando coraggiosamente la morte, in quella notte buia, in barca, dove quasi non si respirava, terrorizzati- se le motovedette titine ci avessero sentiti- ci avrebbero mitragliato-, in quel modo mamma si è conquistata l’emancipazione dalla suocera

Anche se sono passati quasi settan’anni da quell’abbraccio, ancora ripenso a quello che ha provato mia nonna in quell’attimo.

Ha provato un dolore incontenibile.La famiglia si spaccava di nuovo e lei rimaneva in quella grande casa, ormai inutilmente grande, con mia sorella ad aspettare. E che cosa c’era da aspettare?

Che qualcuno venisse ad occupare, con prepotenza, la sua casa, che lei adorava, alla quale era attaccata con tutte le sue forze, che, per salvarla, aveva lavorato giorno e notte, senza cedimenti, senza un attimo di riposo. Cosa che, poi, è traumaticamente accaduta, da parte di suo cognato d’o origini croate?

Con quell’abbraccio nonna capiva che il suo “potere” finiva in quel momento. Che non sarebbe mai più stata la padrona di tutto, dei figli, della casa, delle decisioni, dalle più importanti alle minuscole. Si rendeva conto che, ormai, le rimaneva, la cosa più importante, l’amore dei figli e dei nipoti, che per lei significavano moltissimo, ma non tutto.Comprendeva che stava cambiamdo, completamente , il suo mondo, , che stava perdendo il “comando” sulla famiglia,che cominciava un’epoca nuova.

Arrivata a Trieste, nella casa di Via Negrelli, dove si stava tutti assieme, nessuno, e, soprattutti la mia mamma, le ha fatto pesare il suo nuovo stato di dipendenza.

I figli Bepi, Giovanni, Jolanda hanno tentato di coinvolgerla nelle situazioni che richiedevano saggezza ed intelligenza che lei aveva in abbondanza.

Mia mamma ha cercato, con rispetto, di farla partecipare alla vita di noi nipoti, spronandola a prepararci gli ottimi cibi, come faceva ad Orsera, sempre, perchè, tra le altre cose che sapeva fare molto bene, era anche cucinare. Ed, in verità, lo faceva molto meglio di mia mamma, alla quale non aveva mai dato la possibilità di farlo.

Zia Jolanda, che, per mia madre, allora e da sempre, era stata la sua grande amica, con Giuliano era spesso da noi, per far sentire alla nonna il suo attaccamento di figlia.

Ma tutto ciò non è bastato.L’amore, il rispetto, l’attaccamento dei figli non sono stati sufficienti per salvarla dal dolore. Troppo grande, insopportabile, immenso.

Come tutti gli Esuli che, abbandonando le loro case, si aspettavano all’arrivo in Patria un’accoglienza, se non affettuosa, ma per lo meno “umana “, anche nonna era impreparata all’atteggiamento ostile, talvolta pieno di rancore, quasi di odio, con cui siamo stati ricevuti.

Non ha saputo e voluto reagire ad una polmonite, non riconosciuta in tempo dai medici, ed, in pochi giorni è stata colpita da un’arteriosclerosi galoppante.

Ricordo che andavo a trovarla all’Ospedale Maggiore di Trieste e, riconoscendomi ” Picia, Annamaria, picia mia, cori, cori che el cafè va fora de la cogoma!” ed io ridevo, perchè quelle sue uscite mi sembravano comiche, non gravi.

Si è lasciata morire di crepacuore, a sessant’anni, soffocata dalla disperazione per aver tutto, tutto perduto e tutto abbandonato: la sua Patria, la sua casa, i suoi morti, la sua faticosissima vita che non le ha dato molto amore, tranne quello della sua famiglia e di pochi, carissimi amici, affezionatissimi, Barba Bepo e Gnagna Polonia Spada.

Queste mie parole sono anche un grazie a loro, tra i pochi che l’hanno amata e capita.

Ed un grazie, sconfinato, da parte mia, che, non per mio merito, sono la nipote che più a lungo le è stata vicina.

Ricordo sempre, con struggimento e rimpianto, le braccia di nonna Anna che mi stringevano con amore, protettive, materne. “Vissere mie”,( viscere mie) mi diceva stringendomi, nel lungo anno che ho trascorso con lei ad Orsera. Quel lungo anno durante il quale i titini, con accanita malvagità, non mi permettevano di raggiungere i miei genitori a Trieste, procurando ansie, pene, paure nelle nonne e nei miei genitori che hanno sempre ritenuto questo fatto come un’ulteriore tortura da parte dei “drusi” nei loro confronti, visto che non erano riusciti ad infoibare papà.

Quelle tenere braccia che, sollecite, proteggendomi, hanno impedito che io sentissi la mancanza dei miei e che mi hanno permesso di passare un pezzo della mia fanciullezza nel mio Paese, E’ un periodo che ricordo con gioia, perchè pieno d’amore e di immagini, sensazioni che non ho mai voluto dimenticare.

 

Anna Maria Crasti Fragiacomo