Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia
La storia dell’artista dalmata nel monologo di Emanuele Merlino, presentato nel secondo appuntamento con i Dessert delle Muse martedì 13 dicembre.
E’ dedicato a Giuseppe Lallich il prossimo appuntamento, martedì 13 dicembre, con i “Dessert delle Muse”. L’artista dalmata di lingua e cultura italiana, autore tra gli altri del celebre quadro raffigurante il Giuramento di Perasto, nasce a Opeine (Spalato) nel 1867 e muore a Roma nel 1953. Pittore esule dimenticato, come dimenticata risulta la storia del primo esodo dalmata (1920 – 1921) ma che merita, invece, un ricordo e uno sguardo. Le recensioni dell’epoca parlano di Lallich come di un artista capace di dare vita ai propri personaggi e di rendere gli scorci della sua Dalmazia – abbandonata, ma mai dimenticata – un luogo dell’anima.
Lallich dunque, martedì sera alle 21 presso la sede nazionale del Comitato 10 Febbraio e della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice in piazza delle Muse 25 a Roma, sarà ricordato con un monologo di Emanuele Merlino (autore teatrale e vicepresidente nazionale del Comitato 10 Febbraio) interpretato dall’attore Mauro Serio.
“La Pittura. Il Sangue. Il Leone. Giuseppe Lallich, dalmata dimenticato”: questo il titolo della serata, in cui ci sono tutti gli ingredienti di quello che vuole essere un omaggio all’artista. C’è infatti la pittura, perché è nell’arte che i più grandi riescono ad affermare la bellezza di un tratto, di un’idea, di un sogno, di una rivolta contro una realtà ingiusta come quella che costrinse Lallich, fra troppi, a lasciare la propria casa. C’è il sangue perché è passione, perché è appartenenza, perché costringe a credere in “ciò che la fede duratura, malgrado l’apparenza, spera”. C’è il leone, perché nella storia della Repubblica di Venezia, perché nei leoni con il libro ancora presenti in Istria (dove lo scalpello del nuovo padrone non è arrivato) c’è una verità che, seppur taciuta, ancora vive: “in Dalmazia anche le pietre parlano italiano”.
Il monologo è liberamente ispirato al volume edito da Palladino “Giuseppe Lallich, dalla Dalmazia alla Roma di Villa Strohl-Fern” di Carla Isabella Elena Cace, storica dell’arte e ideatrice dell’evento. Durante la serata sarà esposto il quadro “Il bacio della bandiera”, sicuramente l’opera di Lallich più famosa ed importante, in quanto raffigura il celebre e commovente giuramento di Perasto.
Gli abitanti della cittadina dalmata di Perasto – che dal 1386 poteva vantare, per speciale decreto del Senato di Venezia, il titolo di “fedelissima Gonfaloniera”, ricevendo l’onere e l’onore di custodire il gonfalone di guerra della flotta veneta e offrendo 12 perastini come gonfalonieri, guardia personale del Doge con il compito di difendere a costo della vita il vessillo sulla nave ammiraglia – dopo la fine della Repubblica di Venezia nel 1797 deliberarono di rimanere veneziani fino all’arrivo delle truppe austriache.
Il 23 agosto il Gonfalone della Serenissima venne trasportato in solenne cerimonia dalla casa del Capitano della guardia perastina, il conte Giuseppe Viscovich, fino alla Cattedrale, dove verrà sepolto sotto l’altare maggiore, mentre la folla inginocchiata offre il proprio ultimo omaggio al vessillo che aveva giurato di difendere, baciandolo e bagnandolo delle proprie lacrime, a partire dallo stesso Viscovich, che pronuncia una celebre orazione nota come “giuramento di Perasto” o, dalle sue più celebri parole, “Ti con nu, nu con Ti”.
E sono proprio la storia e le parole del giuramento di Perasto, che sembrano uscire dal quadro di Lallich, a descrivere il senso della serata: “Se il tempo presente, infelicissimo per imprevidenza, per dissennatezza, per illegali arbitrii, per vizi che offendono la Natura e il Diritto delle Genti, non Ti avesse tolto dall’Italia, per Te in perpetuo sarebbero state le nostre sostanze, il sangue, la nostra vita; piuttosto che vederTi vinto e disonorato dai Tuoi, il nostro coraggio e la nostra fede si sarebbero sepolte sotto di Te! Ora che altro non resta da fare per Te, il nostro cuore Ti sia tomba onoratissima e il più puro e grande elogio, Tuo elogio, siano le nostre lacrime”.
Emanuele Merlino