Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia
Al culmine del percorso risorgimentale, la comunità israelita giuliana sposò la causa delle terre irredente
Nel 1848, mentre in tutta Europa imperversava la “Primavera dei popoli”, la città di Trieste rimase quasi inerte. Quasi, perché, in solidarietà con i moti veneziani che portarono in auge la Repubblica di San Marco, nel più importante porto dell’Impero degli Asburgo una porzione della comunità italiana scese in piazza, ma la maggioranza della cittadinanza si mantenne neutrale ed il lealismo nei confronti di Vienna meritò alla città la qualifica di “Urbs fidelissima”. A fronte di questa delusione il giovane Giacomo Venezian, animatore dei patrioti triestini, raggiunse la Repubblica romana e morì nella sua difesa, inaugurando una sequenza che avrebbe condotto numerosi triestini ad esfiltrare per combattere nelle Guerre d’Indipendenza e nelle spedizioni garibaldine. Venezian, inoltre, proveniva dalla prospera comunità ebraica locale, la quale, soprattutto dopo aver visto le ampie libertà in materia religiosa che lo Statuto albertino concedeva, sposò convintamente la causa dell’italianità.
Altro illustre esempio di tale partecipazione è quello di Graziadio Isaia Ascoli, glottologo della comunità israelita goriziana, al quale si deve il fortunato conio nel 1863 dei termini Venezia Giulia, con il quale veniva indicata la regione ancora asburgica abitata prevalentemente da italofoni e racchiusa fra il Mare Adriatico e le Alpi Giulie (Gorizia, Trieste e Istria), Venezia Euganea e Venezia Tridentina, rimaste parimenti escluse dalle annessioni della Seconda guerra d’Indipendenza e oggetto delle mire del neonato Regno d’Italia.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale gli appartenenti alle elités ebraica e italiana di Trieste si trovavano ancor più solidali nel desiderio di emancipazione dall’Austria-Ungheria: gli uni in quanto osservavano con preoccupazione il consenso che aveva raccolto il Borgomastro di Vienna Karl Lueger, le cui politiche antisemite e generalmente sprezzanti nei confronti delle comunità non tedesche dell’Impero austro-ungarico destarono l’ammirazione fra i tanti di un giovane Adolf Hitler, gli altri poiché la politica filoslava di influenti circoli viennesi in funzione anti-italiana era ormai irreversibile. Eugenio Morpurgo, Eugenio Vivante, Teodoro Mayer e Giacomo Venezian (discendente dell’omonimo patriota, tra i fondatori della Società Dante Alighieri e caduto sul fronte carsico) furono gli intellettuali che meglio espressero l’adesione della comunità ebraica triestina alla lotta irredentista.
Gli esiti vittoriosi per l’Italia della Grande guerra destarono nelle province annesse iniziale entusiasmo e la stessa ascesa del fascismo, che si proponeva come sublimazione dell’italianità, suscitò particolare sconcerto solamente nelle frange irredentiste repubblicane e mazziniane, sicché la proclamazione delle leggi razziali da parte di Mussolini proprio a Trieste destò un trauma nella componente ebraica giuliana, la quale si riteneva ormai partecipe della comunità nazionale italiana e non si era associata al flusso di ebrei che sulle navi del Lloyd Triestino salpavano alla volta della Palestina, infervorati dal progetto sionista.
Il vuoto di potere seguito allo sfacelo politico, militare ed istituzionale dell’8 settembre 1943 accomunò nuovamente le sorti dell’italianità e dell’ebraicità locali: la prima ondata di infoibamenti in Istria e di eliminazioni in Dalmazia a scapito degli esponenti maggiormente rappresentativi della presenza italiana a opera dei partigiani di Tito sarebbe stata seguita dalla presa di controllo del territorio da parte delle truppe germaniche e dei loro collaborazionisti indigeni. Nel governatorato militare denominato Zona di Operazioni Litorale Adriatico venne scatenata una persecuzione davvero deleteria nei confronti delle comunità israelite triestina, goriziana e fiumana, portata a compimento da SS e ultranazionalisti ucraini specializzatisi nello sterminio nelle retrovie del fronte orientale (Aktion Reinhard). Dal campo di internamento della Risiera di San Sabba a Trieste sarebbero partiti centinaia di ebrei e ben pochi avrebbero fatto ritorno dai campi di concentramento, sicché a guerra finita un segmento di popolazione che era stato fra l’altro protagonista del percorso risorgimentale giuliano risultò ridotto ai minimi termini.
Lorenzo Salimbeni