“L’hanno marocchinata”. Così un anziano, con gli occhi lucidi, mi racconta della violenza subita da una sua parente. Non dice violentata o stuprata, usa proprio il termine “marocchinata”. E questa parola, usata per la prima volta nel 1946, viene ancora oggi impiegata per indicare le donne italiane violentate dalle truppe coloniali francesi nel 1943-1944 e per definire quello che Emiliano Ciotti, presidente dell’Associazione Nazionale Vittime delle marocchinate, descrive come “uno stupro di massa”. Perché furono migliaia le donne, ma anche gli uomini, che subirono le attenzioni morbose dei coloniali inquadrati nell’esercito francese. Si trattava in prevalenza di tunisini, algerini, marocchini e senegalesi, truppe che oltralpe utilizzarono per combattere la seconda guerra mondiale e sedersi al tavolo della pace dalla parte dei vincitori. Questa soldataglia si accanì sulla popolazione civile italiana compiendo ogni sorta di reati: furti, rapine, razzie, omicidi e tanti stupri. […]
I coloniali sfogarono la loro libidine non solo nelle case di tolleranza, ma anche sulle donne campane. Durante l’avanzata verso Nord i militari lasciarono dietro di loro una lunga scia di sangue e di dolore: Campania, Lazio (in particolare in Ciociaria) e Toscana. Si fermarono alle porte di Firenze perché vennero ritirati dal fronte italiano per essere utilizzati nello sbarco in Provenza. Le modalità degli stupri compiuti dai militari francesi erano quasi sempre le stesse. I coloniali agivano di notte, quasi sempre in gruppo. Entravano nelle case con la scusa di fare delle perquisizioni, rinchiudevano gli uomini in una stanza o li tenevano sotto la minaccia delle armi e poi, a turno, violentavano le povere donne. Quelle che si opponevano erano picchiate selvaggiamente, provocando loro fratture e invalidità fisiche permanenti. A essere sottoposte a violenza furono anche donne anziane o giovanissime. […]
Dopo la violenza molte donne impazziscono, alcune finiscono in manicomio, altre sono costrette a spendere soldi per le cure mediche. Oppure vengono emarginate dal contesto sociale, costrette a cambiare città e a sposare uomini di altri paesi. Infine, i magrebini lasciano alle loro vittime un altro pesante fardello: gravidanze indesiderate, aborti, terribili malattie infettive come scabbia, tubercolosi, blenorragia e sifilide, curate solo grazie all’uso della penicillina fornita dagli americani e all’intensa opera di medici e levatrici.
“L’hanno marocchinata, è stata marocchinata”. Questo il marchio che si portavano addosso le donne italiane nel 1944. Eppure queste pagine tragiche della nostra storia nazionale non si vogliono raccontare. Come ha scritto Marcello Veneziani nel marzo 2019, l’Italia ha rimosso i crimini dei “liberatori”. Invece occorre ricordare, perché gli stupri di guerra sono una triste realtà ancora oggi, mentre in giro per il mondo scoppiano conflitti come in Ucraina e la violenza carnale è ancora un’arma terribile impiegata contro l’inerme popolazione civile.
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Articolo preso dal sito web: culturaidentita.it