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L’esodo degli istriani nella Prima guerra mondiale

  • Novembre 21, 2017

L’esodo degli istriani nella Prima guerra mondiale

Gli italiani residenti attorno alla base di Pola vennero tradotti nei campi di internamento

Pubblicato su Il Giornale d’Italia 

Allo scoppio della Prima guerra mondiale l’Impero austro-ungarico diramò provvedimenti di evacuazione che riguardavano le piazzeforti, con evidente riferimento a quelle che si trovavano a ridosso della frontiera con la Russia, teatro delle prime battaglie, ma anche la città di Pola rientrava in tale fattispecie. La località istriana, infatti, era la principale base navale dell’imperialregia flotta da guerra e perciò anche nelle sue pertinenze venne diffuso un bando che esortava la popolazione a prepararsi ad eventuali misure speciali. Nella primavera del 1915, allorché le mosse del Regno d’Italia lasciavano presagire la sua discesa in campo contro l’Austria, comparvero i primi bandi in cui si consigliava l’evacuazione ai civili. Alcuni si organizzarono con mezzi propri, recandosi da amici e parenti residenti in altre località dell’Impero; per quanto riguarda i cittadini italiani residenti nel Litorale Adriatico, i cosiddetti “regnicoli”, gli abili al servizio militare furono raccolti in appositi campi di internamento, mentre donne, vecchi e bambini riuscirono progressivamente a rimpatriare attraverso la Svizzera.

L’esortazione ad evacuare riguardò dapprima Pola e l’Istria meridionale, venendo poi allargata a Rovigno e all’Istria centrale, per cui si calcola che circa 50.000 persone (su una popolazione di 100.000) furono caricate sui treni e portate verso i campi di baracche costruiti in Stiria o nei pressi di Vienna. Quanti vissero l’esperienza di questi Barackenlager conobbero dapprima la traumatizzante esperienza dell’interminabile viaggio (nella memorialistica si riscontra spesso il neologismo “invagonati”, che rende bene l’idea di come queste persone fossero state stipate nei carri bestiame), dopodiché sperimentarono il disarmante approccio con le strutture che li avrebbero ospitati. Wagna, il più famoso di questi campi, nasceva ad esempio dal frettoloso ampliamento di un campo di addestramento militare, in cui i fabbricati erano pieni di spifferi e ciascuna baracca conteneva un centinaio di persone raccolte in condizioni igienico-sanitarie precarie e nella massima promiscuità. Le autorità asburgiche garantivano a tutti una diaria, ma se qualcuno riusciva a trovare lavoro in zona o preferiva sistemarsi in una struttura migliore al di fuori del campo, perdeva questa piccola retribuzione. Le disagiate condizioni di vita degli internati di nazionalità italiana furono invano portate all’attenzione del parlamento di Vienna dai Deputati Alcide De Gasperi, con riferimento speciale ai trentini, e Valentino Pittoni, a tutela degli sfollati del Litorale, finché ci scappò il morto. Nei cosiddetti “fatti di Wagna” le truppe dislocate a presidio del campo (gestito in maniera tale da somigliare più ad una prigione che a un ricovero per profughi) repressero una manifestazione di protesta in maniera così energica da provocare una vittima.

Allorché l’esercito italiano fu costretto alla ritirata fino al Piave, il Litorale Adriatico recuperò sicurezza ed i profughi cominciarono a tornare, ma così lentamente che, negli scioperi che sconvolsero l’Impero a fine gennaio del 1918, operai e militari manifestanti a Pola chiedevano anche l’immediato rientro dei propri congiunti. Le amministrazioni locali non si adoperarono eccessivamente nell’aiutare il reinserimento dei profughi, appigliandosi al cavillo che Pola, Rovigno ed il contado non erano mai stati ufficialmente “evacuati”, essendosi l’autorità limitata a “consigliare” di andarsene. Chi era ancora ospite dei Barackenlager sperimentava le contrapposizioni di stampo nazionale che stavano squassando le fondamenta dell’Impero, poiché il comitato sorto tra i profughi del Litorale per relazionarsi con l’amministrazione dei campi perse la sua compattezza. Tale comitato era sempre stato presieduto da elementi di nazionalità italiana, in quanto rappresentanti della componente maggioritaria degli sfollati della Provincia e comunque non vennero mai discriminati gli altri gruppi etnici; tuttavia gli elementi slavi e tedeschi nei primi mesi del 1918 si crearono strutture di rappresentanza alternative allo scopo di evidenziare la propria specificità al cospetto dell’amministrazione asburgica.

Complice la convulsa fase finale dell’Impero, il rientro degli sfollati istriani ebbe termine appena nei primi mesi del 1919, sotto l’autorità militare italiana insediatasi nel frattempo nella Venezia Giulia.

Lorenzo Salimbeni