Articolo pubblicato su Il Giornale d’Italia
Vittoriosa candidatura de ‘Le opere di difesa veneziane tra XV e XVII secolo: Stato di Terra – Stato di Mare occidentale’
Le opere di difesa veneziane costruite tra il XV e il XVIII secolo sono il 53° sito italiano ad entrare nella Lista del Patrimonio mondiale UNESCO (e ad assicurarci il primato mondiale di appartenenza di tali aree). Il sito in questione presenta forti caratteristiche transfrontaliere, in quanto racchiude località che si trovano anche in Croazia ed in Montenegro. Un tempo, tuttavia, il comune denominatore di questo nuovo “bene dell’umanità” era rappresentato dall’appartenenza alla Repubblica di Venezia. Quest’ultima, infatti, tra XV e XVII secolo costruì nei suoi domini dell’entroterra e della costa adriatica orientale una serie di fortificazioni edificate secondo innovativi crismi di architettura militare, finalizzati a conseguire efficaci contromisure all’applicazione della polvere da sparo nella tecnica bellica ed al conseguente utilizzo dell’artiglieria.
Le mura slanciate ed elevate lasciarono così il posto a bastioni massicci, spessi ed inclinati di 45°, al fine di opporre adeguata resistenza alle cannonate: era questo il sistema difensivo definito “alla moderna” ideato dagli architetti militari dogali. Tali caratteristiche caratterizzano gli spalti che racchiudono Bergamo alta, la piazzaforte lacustre di Peschiera del Garda, la friulana Palmanova, i baluardi dalmati di Zara e di Sebenico (oggi in Croazia), nonché gli apprestamenti difensivi della montenegrina Cattaro. All’interno di questi muraglioni, fronteggianti le Alpi orobiche o che si rispecchiano nelle acque adriatiche, echeggiava la parlata veneziana, lingua franca dei domini della Serenissima, e si irradiavano nei dintorni i commerci, le strategie difensive e la cultura dei Dogi. Ognuna delle perle di questa collana fortificata racchiude poi una storia particolare, da Peschiera, che avrebbe poi fatto parte assieme a Mantova, Verona e Legnago del Quadrilatero difensivo allestito dalle truppe austriache di presidio nel Regno lombardo-veneto durante le Guerre d’indipendenza, a Palmanova città di fondazione a pianta stellata e a Sebenico che dette i natali a Nicolò Tommaseo, passando per Zara, che proprio per le molteplici opere architettoniche di foggia veneziana e pertanto italica che possedeva fu bombardata dagli angloamericani dietro capziosa richiesta di Tito fra il 1943 ed il 1944.
Paradossalmente nessuna delle opere fortificate di Venezia è stata inserita nel prestigioso novero: da un lato la città lagunare è nel suo insieme già patrimonio UNESCO, dall’altro la candidatura, capitanata da Bergamo, si rivolgeva precipuamente allo Stato di Terra (i domini veneziani nell’entroterra, testimonianza di una mentalità proiettata verso l’Italia tale da far pensare ad una velleità unificatrice che sarebbe stata frustrata dalla Lega di Cambrai già tra il 1508 ed il 1511) ed allo Stato di Mare, il quale fra l’altro, rispetto alla denominazione ufficiale, comprendeva anche una porzione orientale (attualmente facente parte di Albania, Grecia e Cipro).
Fra Bergamo e Cattaro si snoda pertanto un continuum di altri apprestamenti difensivi magari più datati, di chiese dagli inconfondibili campanili, di palazzi e palazzotti recanti l’insegna del Leone di San Marco, con il Vangelo aperto alla pagina “Pax Tibi Marce Evangelista Meus” sulle opere civili e con la spada sguainata ed il volume chiuso su quelle di carattere militare. L’ecumene veneziano garantì lo sviluppo nelle terre dell’Adriatico orientale di quella italianità che affondava salde radici nella presenza romana e nell’appartenenza dell’Istria alla X delle Regiones in cui l’Imperatore Ottaviano Augusto suddivise l’Italia.
Fortezze che nacquero con scopi bellici e difensivi, che oggi sono un patrimonio culturale mondiale riconosciuto il 9 luglio scorso a Cracovia nel corso della quarantunesima sessione dell’UNESCO, nei secoli simbolo di una presenza italiana su entrambe le sponde dell’Adriatico.
Lorenzo Salimbeni